Ecco l’intervista integrale.
Siete state tra le prime scuole in Italia: come è cambiato il counseling in questi poco più di dieci anni?
- Negli ultimi 10/15 anni il counseling in Italia si è trasformato da sparute esperienze un po’ generaliste, poco focalizzate sul nucleo professionale del lavoro, a una comunità di esperienze tra loro collegate che hanno maturato un’idea e una prassi dello specifico professionale del counselor, è nata e si è sviluppata AssoCounseling, l’Associazione di categoria che sostiene, unisce e disciplina la formazione e la professione. Ma ancora molto resta da fare, a livello culturale, per uscire dal circuito tecnico e incontrare la gente, e normativo, per superare sterili corporativismi e entrare nello spirito e nelle linee guida europee e internazionali.
A che domanda/esigenza risponde la scuola di counseling?
- Sostanzialmente due, tra loro sinergiche: una preparazione professionale nella relazione d’aiuto strutturata e aggiornata; il benessere (cioè la sicurezza e la responsabilità) con cui il professionista può operare. Per questo, accanto a una formazione cognitiva viene dato ampio spazio alla crescita personale attraverso attività esperienziali.
Perché andare da un counselor?
- Perché ti aiuta ad aiutarti. Offre una relazione professionale d’aiuto incentrata sulla persona, senza etichettarla o giudicarla. Perché offre un percorso per rendersi più consapevoli, offre la possibilità di liberarsi dai condizionamenti per fare spazio all’espressione creativa di ciò che siamo. Dentro ciascuno di noi c’é una fonte di rinnovabile risorse, fatta di abilità, valori, sentimenti, desideri di relazione con l’altro e con il mondo, una forza vitale che, se libera, ci guida verso i tratti della nostra essenza e ci permette di progredire nella nostra storia. Questo fa il counseling: un leggero movimento evolutivo che può divenire un flusso, un’onda autogenerativa di rinnovamento.
Counseling e conflitti: oggi, dal vostro osservatorio, quali sono i fronti di conflitto più aperto e per ci si rivolge a un counselor (tipo famigliari, sul lavoro…)
- Tensioni e conflitti oggi sono all’ordine del giorno. Conflitti interni: quando dobbiamo prendere una decisione difficile che riguarda la nostra vita personale o professionale. Conflitti esterni: competizioni sul lavoro per accaparrarsi posizioni di privilegio; tensioni per riorganizzare le relazioni familiari, magari in seguito ad una separazione o ad un divorzio; problemi nella vita di coppia; difficoltà nella carriera scolastica; incomprensioni generazionali dentro e fuori le mura della famiglia.
Luogo comune: figlio minore della psichiatria e della psicologia. Perché non è così?
- Lo psichiatra è un medico specializzato nei disturbi mentali, interviene utilizzando anche prescrizioni mediche. Lo psicologo/psicoterapeuta opera nel campo della psicopatologia, utilizzando anche test psicodiagnostici. Il counselor offre uno spazio di ascolto e di riflessione, nel quale esplorare difficoltà relative a processi evolutivi, fasi di transizione e stati di crisi e rinforzare capacità di scelta o di cambiamento. Il counseling non è una forma di terapia (medica o psicologica). E’ un aiuto a esplicitare risorse e affinare competenze, a orientarsi al benessere possibile, al di là di ogni patologia, campo riservato specificamente ad altri professionisti.
Counseling significa anche imparare ad ascoltare. Lo consiglierebbe ai politici?
- Counseling significa prima di tutto imparare ad ascoltare per comprendere l’altra persona. Significa capire l’altro prima di decidere come rispondergli. Significa praticare quell’ascolto non distorto da difese ideologiche, non orientato alla contrapposizione tra Io e Altro, quell’ascolto che permette un’evoluzione, una trasformazione in un contesto riflessivo e creativo. Il counseling puòfacilitare la capacità di stare in un relazione gruppale osservando le regole che permettono una dinamica sana: ascolto reciproco, rispetto, accettazione della diversità di opinioni, dialogo, scelta e attivazione delle azioni utili per il bene comune. Il counseling può contribuire alla costruzione di una sana politica, accogliendo la sfida di praticare empatia e umanità nel terzo millennio, le chiavi per una crescita responsabile. Esistono cose essenziali per la vita umana. per dare forma al nostro essere possibile dobbiamo aver cura di noi, degli altri e del mondo. Il nostro modo di stare con gli altri nel mondo è intimamente connesso con le azioni di cura che mettiamo in atto. Siamo quello che facciamo e quello di cui abbiamo cura. È irrinunciabile aver cura della vita, per conservarla nel tempo, per farla fiorire e per riparare le ferite dell’esserci. Poiché la vita umana è fragile e vulnerabile, il lavoro di cura è intensamente delicato e affascinante; e il primo compito è cercare la misura di senso dell’esperienza.
Da un’intervista a Antonio Bimbo su un noto quotidiano locale prima dell’epidemia covid-19.