Tra storia e romanzo

Il nostro residenziale si svolgerà all’ombra della torre normanna di Termoli e i luoghi che frequenteremo sono un omaggio alla dinastia Sveva, cui il borgo antico di Termoli deve il suo periodo di maggior splendore e la cui presenza storica è suggellata dagli interventi di ristrutturazione e fortificazioni che Federico II di Svevia apportò, nel XIII secolo, proprio al Castello- Torre, divenuto poi simbolo della città di Termoli.

 Il genius loci è permeato dalla figura di questo grande sovrano Federico II di Svevia, che evoca una bella figura di donna, la madre Costanza d’Altavilla, il loro profondo legame di carne, sangue e pensiero, a partire dal momento sconvolgente del parto, che si percepisce a caldo tra le righe de “La sposa normanna” della scrittrice, campobassana di nascita, milanese di adozione, Carla Maria Russo, che abbiamo incontrato e che ci ha introdotto nel significato profondo della relazione dell’uomo con il corpo e l’ambiente.

L’incontro è quindi con:

 

Anselmo di Upsala la osservava distesa nella lettiga, il volto pallido e affilato, gli occhi chiusi, cerchiati da due profonde occhiaie scure. Respirava a fatica. Si rese conto che stava per verificarsi proprio l’ipotesi più temuta: il bimbo sarebbe venuto alla luce lungo il cammino, senza che nessun testimone di fiducia dell’imperatore potesse confermare la legittimità della nascita.

 

Come confessare a Costanza che stava per perdere la battaglia e che lui non aveva modo di aiutarla? Quasi riuscì a leggergli nel pensiero, la sovrana aprì gli occhi e lo fissò.

<So cosa vorreste consigliarmi Anselmo, ma è impossibile. Dobbiamo raggiungere Spoleto. Non ho scelta.> Con un panno di lino, il medico asciugò il sudore che, nonostante il freddo intenso, velava la fronte della sovrana. <Maestà,> rispose, la voce incrinata dalla commozione <se potessi offrire la vita per aiutarvi, lo farei senza esitare. Ma contro la natura non posso nulla. Non raggiungeremo mai Spoleto. Consentiteci di interrompere il viaggio e di accamparci. E’ già buio. Proseguire sarebbe un grave azzardo. Ne va della salvezza vostra e del bambino.> <Riesco ancora a resistere. Non posso partorire nei campi. Lo sapete mio caro amico.> <Maestà dovete preoccuparvi solo della salute del piccolo, se volete che sopravviva.>

Costanza reclinò il capo sulla spalla. Per alcuni istanti rimase in silenzio, il petto scosso da piccoli singhiozzi. <Vi prego di condurmi almeno fino al luogo abitato più vicino,> supplicò <fosse anche un piccolo villaggio.> <A giudicare dalla mappa sembra ancora distante. Il cammino alla luce delle torce, potrebbe richiedere troppo tempo. Se la situazione dovesse precipitare, rischiamo di non essere pronti.> <Confido in Dio padre. Non mi abbandonerà dopo avermi donato un figlio.>

 

Il corteo camminò per tutta la notte. Sul far dell’alba giunse in vista di un piccolo borgo addossato a una collina, sul quale infuriava un freddo vento di tramontana. Non appena lo scorse in lontananza, Anselmo di Upsala si accinse ad inviare un messaggero, alla ricerca di un luogo dignitoso dove ospitare la sovrana. Costanza lo fermò. Nelle ultime ore aveva maturato una decisione molto difficile, che di certo non avrebbe mancato di sollevare critiche e accuse. Ma a lei non interessava altro che il bene del piccolo.

<Non mi occorre alcun rifugio. Fate innalzare una grande tenda da campo nel centro della piazza principale di questo villaggio. Sapete come si chiama?> <Iesi, maestà, nella Marca anconetana.> <Iesi> ripeté Costanza. <E’ un bellissimo nome. Sono certa che mio figlio non dimenticherà il borgo in cui vedrà la luce.> Si interruppe, portandosi le mani al ventre incapace di trattenere un lamento. Anselmo di Upsala prese allora dalla borsa una piccola fiala di liquido scuro. <Prendete questa pozione. Vi calmerà il dolore.> <A prezzo della mia lucidità?> chiese Costanza. <Si, maestà, è inevitabile.> <Allora non la voglio. Vi ordino anzi di non farmi bere intrugli simili durante tutto il travaglio, neppure se mi sentite rantolare.> <Soffrirete molto. Questa medicina vi sarebbe di grande aiuto. Perché rifiutarla?> <Devo salvare mio figlio, Anselmo. Per riuscirci, è necessario che io sia sempre cosciente di quanto accade. Ora vi prego: fate issare una grande tenda nella piazza principale del villaggio. Partorirò lì.> Anselmo di Upsala ebbe un sobbalzo, che fece ondeggiare la barba fluente. <Una tenda nella piazza del paese? E’ impossibile … Impossibile!> ripeté. Costanza finse di non averlo udito. <Vi prego di inviare anche araldi in tutto il paese. Fate in modo che gli abitanti siano informati di quanto sta per accadere. Dite loro che l’imperatrice, in viaggio verso la Sicilia, è stata colta dalle doglie e ha stabilito di fermarsi a Iesi, per partorire. Che sono sola, lontana dalla famiglia. Per questo, supplico tutte le donne di assistermi durante il parto. Perché quella faccia amico mio?> <Maestà, credo che l’imperatore non  approverebbe mai questo comportamento. Siete una sovrana. Non potete mostrarvi sofferente e discinta di fronte a semplici popolane. Voi non immaginate neppure a quali reazioni si lasci andare una donna in questi casi.> Mentre parlava, Anselmo di Upsala scuoteva la testa con decisione. <Tutte le donne del paese vedranno il piccolo uscire dal ventre della madre, che soffre e rischia come una di loro.> ribadì Costanza, testarda. <In ogni istante del travaglio e al momento della nascita, deve essere presente nella tenda un numero di testimoni tale che nessuno possa mai più, in futuro, sollevare dubbi sulla legittimità del bimbo. La mia dignità non ne sarà sminuita. Eseguite gli ordini, Anselmo di Upsala.>

………………….

Nella tenda si fece un silenzio assoluto. Per un lungo, interminabile istante, le parve che la vita si fermasse, e il cuore cesasse di batterle. Il vagito potente e acuto di un bimbo squarciò l’aria. <E’ un maschio, maestà!> gridò l’ostetrica, anticipando i medici. <E’ sano e molto robusto. Sentite che strilli!> il bimbo era nato. Per la prima volta ne udiva la voce. Dolore, sfinimento, paura scomparvero all’improvviso. Si sentiva solo struggere dal desiderio di guardarlo e di stringerlo a sé. Le prime braccia a scaldarlo, a confortarlo dovevano essere le sue. <Datemi mio figlio,> ordinò con un filo di voce. <Senza pulirlo, né coprirlo. Ci penserò io.> travolta da un’emozione che non aveva mai provato, serrò al cuore Federico, incapace di parlare, scossa com’era da singhiozzi di gioia. Con le labbra, sfiorò la testa, le guance, la minuscola bocca. Attraverso la pelle, cercò di comunicargli tutta l’intensità del suo amore. Poi lo mostrò alle numerose donne presenti, emozionate e incredule. <questo è il figlio di Costanza di Altavilla, erede al trono normanno.> annunciò. <Voi tutte lo avete visto uscire dal ventre della madre. Ringrazio Dio e voi per avermi assistito.>”

Brano tratto dal romanzo storico “La sposa normanna”

 

Costanza: simbolo di caratteristiche solo all’apparenza  opposte e inconciliabili: la fragilità e la forza; l’attaccamento a grandi ideali e la pragmaticità; il senso della famiglia, l’attaccamento ai suoi valori  e la capacità di trasmetterli  nel rispetto dell’autonomia e della libertà.  

 

Federico: simbolo  anche lui di caratteristiche contrapposte: il senso del dovere e la capacità di godere dei piaceri; il senso di appartenenza , di unità e l’apertura al nuovo, al diverso; l’attaccamento alla tradizione che crea stabilità e la ricerca dell’innovazione che fa evolvere, rompe schemi precostituiti anche a rischio di impopolarità.

 

Li abbiamo scelti come testimonial  privilegiati di questa nostra esperienza.